Mirabella Imbaccari

Mirabella Imbaccari
comune
80px-Mirabella_Imbaccari-Stemma MIRABELLA IMBACCARI (CT)
260px-Mirabella_Imbaccari_Panorama MIRABELLA IMBACCARI (CT)
Localizzazione
Stato 20px-Flag_of_Italy.svg MIRABELLA IMBACCARI (CT) Italia
Regione 20px-Coat_of_arms_of_Sicily.svg MIRABELLA IMBACCARI (CT) Sicilia
Città metropolitana 20px-Provincia_di_Catania-Stemma.svg MIRABELLA IMBACCARI (CT) Catania
Amministrazione
Sindaco Giovanni Ferro (PD) dall’11-06-2017
Territorio
Coordinate 17px-WMA_button2b MIRABELLA IMBACCARI (CT)37°20′N 14°27′ECoordinate: 17px-WMA_button2b MIRABELLA IMBACCARI (CT)37°20′N 14°27′E (Mappa)
Altitudine 518 m s.l.m.
Superficie 15,3 km²
Abitanti 4 772[1] (31-10-2017)
Densità 311,9 ab./km²
Comuni confinanti Caltagirone, Piazza Armerina (EN)
Altre informazioni
Cod. postale 95040
Prefisso 0933
Fuso orario UTC+1
Codice ISTAT 087028
Cod. catastale F231
Targa CT
Cl. sismica zona 2 (sismicità media)
Cl. climatica zona D, 1 430 GG[2]
Nome abitanti mirabellesi
Patrono san Giuseppe e Madonna delle Grazie
Giorno festivo 19 marzo e penultima domenica di agosto
Cartografia
260px-Italy_provincial_location_map_2016.svg MIRABELLA IMBACCARI (CT)

8px-Red_pog.svg MIRABELLA IMBACCARI (CT)
Mirabella Imbaccari
198px-Map_of_comune_of_Mirabella_Imbaccari_%28metropolitan_city_of_Catania%2C_region_Sicily%2C_Italy%29.svg MIRABELLA IMBACCARI (CT)

Posizione del comune di Mirabella Imbaccari nella città metropolitana di Catania

Sito istituzionale

Mirabella Imbaccari (I Màcari in dialetto locale, gli abitanti sono detti “Maccarìsi” in dialetto e “Mirabellesi” in italiano) è un comune italiano di 4.772 abitanti[1] della città metropolitana di Catania in Sicilia. Nel dialetto locale, derivante come struttura fonetica e, in parte, lessicale, dal gallo-italico di Sicilia, si traduce la seconda parte del toponimo, “Imbaccari”, da cui “I Màcari”. La prima parte, “Mirabella”, è intraducibile, poiché è il cognome della nobile Leonora Mirabella, sposa del barone Giuseppe Maria Paternò, il quale apparteneva alla famiglia dei feudatari che fondarono il paese.

Dista 16 km da Caltagirone, 14 da Piazza Armerina, 29 da Gela, 46 da Enna e 75 da Catania e da Ragusa.

Storia

Toponimo

Il nome di Imbaccari dovrebbe derivare dalla città del periodo siculo di Mactorium, poi Maccorium e, quindi, Maccari. Lo stesso centro si chiamerà Emicára o Imìcara nel periodo greco e Imachara in quello romano. In effetti, non ci sono prove certe sull’identità dell’antico comune con il moderno paese di Mirabella, perché le fonti storiche sono incomplete, ma ipotesi ben fondate.

Il nome “Imbaccari” e la sua traduzione dialettale “I màcari”, nonché la forma dialettale con cui si indicano gli abitanti del paese, “Màcarisi” o “Màccarisi”, riportano tutti con evidenza all’antico toponimo “Imachara”, citato da Cicerone in riferimento ad un centro dell’interno della Sicilia fertile e ricco di coltivazioni di grano.

Il “Dictionary of Greek and Roman geography” del 1854, curato dallo studioso inglese William Smith, riassume le poche notizie sull’importante città nata nell’era dei Siculi.

Secondo la datata opera, la Imachara latina (greco:. Ἱμιχάρα o Ἡμιχάρα), è stata più volte citata da Cicerone.

Gli studiosi sono incerti sulla vera forma del nome, che in molti manoscritti è “Macarensis” o “Macharensis” (che ha un’assonanza completa con “Macarisi”, nome dialettale dei mirabellesi). Il geografo greco Tolomeo chiama lo stesso centro, “Hemichara” o “Himichara”.

I dubbi maggiori riguardano la posizione precisa in cui sorgeva Imachara. Gli autori antichi concordano nel porla nell’interno dell’isola.

L’ “Atlante Barrington del mondo greco e romano” ,pubblicato nell’anno 2.000, identifica però, provvisoriamente, Imachara con la contrada Vaccaria del comune di Nicosia. L’ipotesi si basa su una ricostruzione fatta dallo storico Karl Julius Beloch, morto nel 1929. Altri studiosi si riferiscono alle indicazioni topografiche degli antichi storici e pongono Imacara lungo la strada fra Centuripe e Capizzi, a nord di Agira.

Si tratta dunque di deduzioni ormai datate fatte da persone che non conoscevano di fatto il territorio siciliano e, in particolare, ignoravano forse l’esistenza di un paese che porta il nome “Imbaccari”.

Chi si è occupato della questione ha infatti incredibilmente trascurato proprio il feudo di Imbaccari. Pur segnalando luoghi vicini a Mirabella, che si trova al confine con la provincia di Enna, territorio a cui appartengono sia Nicosia che Agira.

Mirabella però non è segnalata, nonostante la palese somiglianza del nome “Imbaccari”, sia nella forme italiana che in quelle dialettali, con i vari toponimi citati dagli autori antichi, nonché la sua posizione interna. Il motivo di tale lacuna è da attribuire anche alla scarsa autorevolezza degli studi di storia patria su un paese così piccolo e isolato.

La corrispondenza geografica più ovvia dell’antica “Imachara”, secondo l’evidenza toponomastica e in base a tutte le informazioni lasciate dagli storici, sembrerebbe invece proprio con il feudo che sorgeva attorno al casale omonimo di “Imbaccari”. Feudo trasformato nel 1610 dal barone Giuseppe Maria Paternò nell’odierno paese, da lui stesso ribattezzato con il toponimo composto di “Mirabella Imbaccari”, in onore della sua seconda moglie, Eleonora Mirabella.

Dalle origini alla rivolta dei Lombardi

Il feudo Imbaccari nel periodo arabo si trovava nel vastissimo territorio di Manzil Khalīl o Malgâ Halīl o Abū Halīl (alla lettera “Quello di Abramo”,[3] letto come “Rifugio di Abramo”) e il suo casale, Ambakarih (829) o Imakarah (834), faceva parte dei quindici casali che gravitavano attorno al borgo più importante di Iblātasah (che poteva costituire la variante araba del toponimo Ibla, o del latino Platea o Plutia, che avrebbe originato il nome di Piazza Armerina), che sembra si trovasse nei pressi dell’odierna Villa Romana del Casale).

Dopo la guerra contro i musulmani il feudo venne concesso dal conte Ruggero I d’Altavilla ai più valorosi combattenti lombardi, ma la popolazione rimase prevalentemente araba. Nel 1160 tra i grandi feudatari e gli abitanti delle provincie del regno e soprattutto delle colonie lombarde, montarono i malumori, le preoccupazioni e il risentimento per la politica permissiva di Guglielmo I il Malo verso gli Arabi e i Greci, che ancora abitavano quei territori e che si erano mostrati sudditi fedeli assai utili nell’amministrazione dello Stato e nelle fila dell’esercito normanno.[4]

Una congiura di corte, capeggiata da Matteo Bonello, signore di Caccamo, e dai baroni più influenti del regno, portò all’uccisione dell’ammiraglio Maione da Bari, paladino della politica di pacifica convivenza con gli Arabi e coi Greci. Tancredi d’Altavilla dei conti di Lecce e Ruggero Sclavo, figlio illegittimo del conte Simone Aleramico di Policastro, si ribellarono a Guglielmo I e tornati da Palermo, dove era fallita la loro rivolta, furono aiutati dagli abitanti dei casali lombardi di Rambaldo, Rossomanno, Ciappa, Polino, Eliano e Comicino ad assaltare e massacrare i Saraceni che ancora vivevano nei casali di Iblātasah,[5] Anaor, Rahal Phididi, Rahal Biât, Rabugino, Ramursura, Rachulmet, Garsiliato, Imbaccari e Gallinica, distruggendoli totalmente. L’anno seguente Guglielmo I, appena saputo della grave insurrezione, assediò i casali ribelli di Rambaldo, Rossomanno, Ciappa, Polino, Comicino ed Eliano servendosi anche dei soldati saraceni pronti a vendicare il massacro dell’anno prima. Li espugnò e li rase al suolo e lo stesso fece con Butera, risparmiando solo Fundrò, Rossomanno, Pietratagliata, Agata, Anaor e qualche altro casale dove si rifugiarono i superstiti. Il re tornò a Palermo a costituire due corpi di spedizione per combattere gli insorti della Calabria e della Puglia. Ad uno di questi corpi si arruolarono volontari i Lombardi superstiti dei borghi distrutti che, nella battaglia di Taverna (Cz), si coprirono di gloria a tal punto da meritarsi dal re il decreto di ricostruzione della loro città. Mentre, però, Ibla, Platia, Platea, Placea, Placia (Piazza Armerina) venne ricostruita nel 1163, gli altri casali rimasero definitivamente distrutti.

Da feudo medievale all’Unità d’Italia

Il casale feudale di Imbaccari, comprendente anche il màrcato di Piana di Minnelli, dal 1296 si frazionò in Imbaccari Sottano, diviso a sua volta in Baldo Inferiore e Baldo Superiore, e in Imbaccari Soprano, diviso anch’esso nei màrcati Sortavilla Inferiore e Sortavilla Superiore. Nei secoli XII, XIII e XIV Imbaccari appartenne alle famiglie di nobili abitanti a Piazza (Goffredo di Mazzarino, Ugo Lancia, de Cardona, Villardita) e, nei primi anni del Quattrocento, alla famiglia de Landolina abitante a Caltagirone. Nel 1425 Giovanni (de) Landolina di Caltagirone fu costretto a vendere Imbaccari Sottano a Gualtiero Paternione (Paternò) e Spadafora V barone del Burgio e I barone di Imbaccari Sottano. La famiglia Paternò continuò il possesso del feudo per oltre un secolo e mezzo, sino al 1585, quando il barone Giuseppe Maria Paternò e Gravina, barone di Granieri e Raddusa, vendette Imbaccari Sottano a Pietro Gaffori, barone del Toscano, tenendo per sé Baldo e Piana di Minnelli. Dieci anni più tardi il barone Paternò Giuseppe Maria e Gravina, rimasto vedovo, si sposò a Modica, per la seconda volta, con Eleonora (o Leonora) Mirabella figlia ed erede di Biagio Mirabella e Landolina, signore di Carcaci e Racalcaccia, e quindici anni dopo, l’11 settembre 1610, chiese ed ottenne da re Filippo III d’Asburgo II di Spagna e II di Sicilia, la “licentia populandi” e il “mero e misto imperio” per il suo feudo Baldo e Piana di Minnelli per costruirvi così una “Terra”, ovvero un paese, dandogli il nome di Mirabella in onore della famiglia della moglie Eleonora.

Nel 1624 il figlio di Giuseppe Maria Paternò e Gravina, Giacinto Maria Paternò e Mirabella, barone di Raddusa, Granieri e Destra, riacquistò il feudo di Imbaccari Sottano dai discendenti di Pietro Gaffori (Pietro e Chierico Francesco Gaffori) e nel 1630 ottenne la licenza, dal viceré Francesco Ferdinando de La Cueva, di trasferirvi il paese, già fondato nel 1610 nel feudo di Baldo, che, purtroppo, si era rivelato insalubre persistendo la malaria. A questo trasferimento si oppose la città di Piazza che si vedeva lesa nei suoi diritti perché privata da una parte delle entrate fiscali. Dopo sei anni di contrasti, pagando 200 onze ai Giurati di Platia, arrivò l’accordo risolutivo per ottenere la totale giurisdizione. Infatti, il viceré Luigi Moncada, principe di Paternò, concesse l’autorizzazione definitiva al trasferimento. Nel 1693 il feudo di Imbaccari Sottano insieme alla Terra di Mirabella, per i debiti contratti da Francesco Maria Paternò e Tornambene, se lo aggiudicò il barone piazzese Trigona Aloisio (Luigi) I. Dopo la rinunzia del figlio primogenito di Aloisio, Matteo Trigona, sacerdote e vescovo di Siracusa, ne mantenne il possesso nel 1715 il fratello, Ottavio Trigona. Nel 1730 Ottavio rinunciò in favore del figlio Aloisio II che se ne investì nello stesso anno. Poco tempo dopo Aloisio II vendette il feudo a Trigona Vespasiano, duca di Misterbianco. Ma nel 1734 lo recuperò, pagando i debiti del fratello Francesco Maria, Geronimo Paternò e Tornambene che, poco prima che morisse, vendette il diritto al recupero del feudo a Vincenzo Paternò Castello IV principe di Biscari (1685-1749), il quale si investì del titolo di Imbaccari Sottano, Baldo e Terra di Mirabella nel 1737. Alla morte di Vincenzo Paternò Castello il feudo d’Imbaccari Sottano, Baldo e Terra di Mirabella passò nel 1750 al suo primogenito, Ignazio Paternò Castello e Scammacca V principe di Biscari detto il Grande (1719-1786), perché illustre mecenate, archeologo, numismatico e letterato nonché fondatore del museo “Biscari” di Catania. Alla morte del padre Ignazio si investì del feudo il figlio primogenito Vincenzo Ignazio Paternò Castello e Morso VI principe di Biscari (1743-1813). Durante il suo possesso si congiunse nel 1792, sotto un unico signore, anche il feudo di Imbaccari Soprano e Sortavilla avendolo acquistato da Antonino La Grua e Branciforte principe di Carini e, sempre Vincenzo Ignazio, nel 1809, s’investì anche del feudo confinante Gatta.

A Vincenzo Ignazio Paternò Castello e Morso successe il figlio Ignazio Vincenzo Paternò Castello e Arezzo VII principe di Biscari (1781-1844) e barone di Imbaccari Sottano, Baldo, Terra di Mirabella, Imbaccari Soprano, Sortavilla e Gatta, alla cui morte successe il fratello Roberto Vincenzo Paternò Castello e Arezzo VIII principe di Biscari (1790-1857) che nel 1814 sposò Lucrezia Tedeschi ricevendo in dote anche le signorie del Toscano, Mandrile e màrcati di Toscanella.

Nel 1862 il Regio Decreto del re d’Italia Vittorio Emanuele II stabilì che il paese fosse denominato Mirabella Imbaccari. A Roberto Vincenzo Paternò Castello e Arezzo successe nel 1861 per metà il figlio terzogenito Ignazio Vincenzo Paternò Castello e Tedeschi (1819-1888), per l’altra metà successe il 14º e penultimo figlio, Camillo Paternò Castello e Tedeschi (1835-1880), sposatosi nel 1872 con Maria Stagno dei principi d’Alcontres. Dal loro matrimonio nacquero Roberto Paternò Castello e Stagno (1875-1895) e Ignazio Paternò Castello e Stagno (Catania 1879 – Monza 1944). Ignazio fu l’ultimo della famiglia Paternò Castello che nel 1897 ereditò i beni di Mirabella Imbaccari parte per diritto ereditario e parte per transazione. Si sposò nel 1899 con Angelina Auteri (Napoli 1880-Legnano 1964), in seguito suor Maria di Gesù, figlia del barone catanese Franco e della pugliese Maria Gaetana Gionti. Il barone Ignazio frazionò il feudo in piccoli appezzamenti e donò sia il Palazzo Baronale all’Istituto delle Suore Dorotee (1928) che il terreno in c/da Orto Canale per la costruzione delle Scuole Elementari (1930), prima di entrare tra i Chierici Regolari di San Paolo detti PP. Barnabiti a Monza.

Luoghi d’interesse

Chiesa di Santa Maria delle Grazie

La Chiesa Madre è dedicata alla Madonna delle Grazie, insigne monumento di architettura barocco-dialettale che s’innalza, fronteggiando il palazzo Biscari lungo la via Trigona, sulla piazza principale del paese. Vi si accede attraverso un’ampia scalinata. Il suo prospetto, a tre ordini architettonici, in stile barocco-siciliano, delineato da grandi lesene con basi e capitelli, è ornato di un grande ed artistico portale con fregio e timpano, di una finestra con statua di pietra della Madonna col Bambino, di un grande orologio civico, di un campanile a trifora, con archi a tutto sesto, e di un timpano terminale con croce ed acroterii. Fu costruita da Giacinto Paternò contemporaneamente alla costruzione del Palazzo e alle 60 case scaglionate lungo l’attuale via Trigona. Durante il terremoto del 1693 subì parecchi danni, che furono riparati da Don Luigi Trigona, dal cui successore Don Ottavio e da altri Signori o Parroci che si sono succeduti venne arricchita ed abbellita ulteriormente. Di pregevole vi si trovano un Sarcofago che racchiude le spoglie di Giuseppe e Innocenza Paternò; una tela della Crocifissione, che sia pure non firmata, si presume essere stata dipinta da Michelangelo da Gangi appartenente alla scuola di Giuseppe Salerno detto lo zoppo di Ganci; un’altra dipinto raffigurante la Trasfigurazione, opera di Michele Salvo da Gangi. Da sottolineare la presenza (sopra la vecchia sagrestia) di un quadro dell’artista mirabellese Vincenzo Di Fazio (1884-1968) raffigurante l’Ascensione. La Chiesa è stata ristrutturata nel 2006.

Palazzo Biscari

È il monumento più insigne, unitamente alla Chiesa Madre, che c’è nel Comune di Mirabella. In esso attualmente ha sede l’Istituto delle Suore di Santa Dorotea. Sorge sul punto più alto del paese, sullo sfondo della via Trigona, che è l’arteria più centrale e più antica.

Di esso così si esprime un poeta locale: Sorge in alto l’antico maniero costruito da secoli ormai; da lontano mirar lo potrai: maestoso, superbo lassù. Ecco là! In cima a quel monte! È del popolo nostro la gloria che richiama remota la storia di nostr’avi, di gente che fu.

È di architettura barocco-locale, dal portale, dagli stipiti e dalle finestre di pietra intagliata. Dai balconi di ferro bombato, sul frontespizio troneggia lo stemma della casa gentilizia dei Biscari (sul campo sinistro di chi guarda si vede uno scudo con otto strisce verticali tagliate da una trasversale e, sul campo destro, una torre merlata). È un palazzo molto ampio, con un cortile interno, o baglio, cinto da terreno coltivato a giardino e orto, e dal boschetto dalla parte di levante. Comprende molte ampie stanze che un tempo erano adibite in parte ad abitazione e in parte a dispensa, cucina, cavallerizza, magazzini. Al centro dell’androne, pavimentato con mattoni di argilla ordinari, vi è una grande cisterna con due colonnine di ferro battuto, alimentata dalle acque piovane. Dall’androne si accede, attraverso un’ampia scala tutta in pietra ivi compreso il passamano, al piano superiore dove, tra l’altro, sono ben custoditi alcuni mobili antichi lasciati dai Biscari, e qualche quadro pregevole di loro antenati. Nella grande stanza che un tempo fu la camera da letto dei coniugi Biscari c’è la Cappella delle Suore dove si possono ammirare un artistico altare scolpito in noce con un altro in mogano di recente fattura sullo stile basilicale e due preziosi candelabri di bronzo. Annesso al palazzo Biscari nella parte di tramontana sorge quello che comunemente si chiama il Carcere (tipica costruzione coi merli sovrapposti, sul tipo dei castelli medioevali, che un tempo serviva come luogo di pena e adesso è stato ristrutturato internamente per attività sociali).

Un Monumento ai Caduti, inaugurato nel 1938 durante l’Amministrazione del Cav. Benedetto Lo Presti, fu collocato di fronte al Palazzo Biscari.
Il monumento, realizzato in bronzo da Pietro Montana e raffigurante un poderoso soldato che sorregge una donna prostrata e afflitta, è un dono dei Mirabellesi residenti negli Stati Uniti d’America.

Nel 2014 piazza S.Paola Frassinetti è stata sottoposta a restauro (ricostruita la scalinata d’accesso al Palazzo Biscari e ripulito il Monumento ai Caduti che è stato spostato alla sinistra del palazzo).

Palazzo Giangrande

È un isolato costruito sotto il carcere o castello facente angolo con l’attuale via Politini e via Castello. La sua costruzione risale alla stessa epoca del palazzo Biscari o immediatamente successiva. Vi si ammirano ancora il portale che si apre in via Castello, tutto in pietra intagliata con lesene e capitelli, e un altro portale sulla via Politini, pure intagliato ma con linee diverse.

Chiesa del Sacro Cuore di Gesù

La chiesa del Sacro Cuore fu provvisoriamente ricavata, nel dicembre 1908, dai magazzini della famiglia Politini dopo un fallito tentativo di portare a termine nel 1904 la costruzione di una seconda chiesa in Mirabella, la cui prima pietra venne posta da mons. Damaso Pio De Bono (1850-1927). La nuova costruzione si era resa necessaria dopo il terremoto dell’8 dicembre di quello stesso anno, che aveva reso inagibile la pericolante chiesa madre.

Il promotore della nuova costruzione fu il parroco Rosario Giustolisi (1882-1935), che validamente aiutato da un comitato civico e dall’entusiasmo dei fedeli del quartiere delle Forche, diede stabile struttura ai locali della nuova chiesa, che nel 1911 ottenne il riconoscimento canonico dalla competente autorità ecclesiastica.

L’interno, a tre navate, è decorato da un grande Crocifisso di legno di Vincenzo Moroder del 1953, dall’originario altare maggiore di marmo ornato dalla statua di legno del Sacro Cuore di Luigi Santifaller, dall’altare conciliare di marmo dei fratelli Alberghina, da due altari laterali con la statua lignea di S.Antonio (Santifaller) e una statua di cartapesta della Madonna di Lourdes e da una tela con angeli, recanti simboli della passione, di un non meglio identificato Albino, dal fonte battesimale di marmo di Carrara del 1940 e dal portale di noce di Salvatore Massari del 1961.

Ricordiamo, ancora, che nella chiesa, vicino alla colonna di fronte all’altare della Madonna di Lourdes, nel 1947 furono traslate le spoglie mortali del suo fondatore, con questa iscrizione:

«Qui posan le ossa stanche dell’infaticabile Ministro di Dio Sac. Gagliano Rosario che volle e costruì dalle fondamenta il nuovo Tempio Sacro Cuore di Gesù perché fosse nei secoli perenne faro di luce fiaccola d’amore»

L’Opera del Tombolo

L’attività artigianale dei merletti a tombolo costituisce una ricchezza tipicamente locale, pregio e vanto di tutte le donne del paese. Il tombolo – probabilmente nato in Cina e portato in Italia da Suore Missionarie – è un tessuto finissimo ottenuto da un intreccio di filo di lino o di cotone attraverso il frusciare dei fuselli di legno abilmente manovrati da dita esperte.

Nei locali del principesco palazzo Biscari le donne mirabellesi, in modo particolare le giovani, si raccolsero numerose per apprendere quell’arte che sarebbe diventata – e lo è ancora – il fiore all’occhiello del paese. Nel 1910 l’Opera venne ufficialmente istituzionalizzata con la venuta da Roma di quattro Suore dell’Ordine di Santa Dorotea espressamente chiamate dai principi Biscari a stabilirsi nel palazzo, assicurandone così la continuità. Da quel momento Mirabella fu tutto un fervore di tombolo che con l’andar del tempo ha cambiato per molti versi il volto del paese dandogli una posizione di primo piano anche in campo nazionale per la produzione di tali preziosi merletti, esposti nelle mostre di artigianato in varie città d’Italia ed estere ottenendo ambiti premi. Tale lavoro è diventato talmente popolare che non c’è una casa o una strada dove non si vedano donne e bambine sedute al sole, o all’ombra, intente a tessere finissimi e pregiati merletti.

Merito tutto della giovanissima moglie del principe Biscari, Angelina Auteri, che credendo fermamente nel suo ambizioso e coraggioso progetto imprenditoriale, offrì alle donne del paese la possibilità di rendersi indipendenti e di preparare da sé il corredo alle figlie. Il tombolo negli anni divenne una realtà economica molto forte, tanto da far meritare al paese la denominazione di “Città del Tombolo”.

Tòmbulu, filu, spìnguli e fusella si vìdinu pi strati a Mirabella; cutri, linzola, fediri e servizi: Chistu è u paisi de merletti e pizzi.

Museo del Tombolo

Dal 1961 al 1974 si è svolta la Mostra del Tombolo in concomitanza della festa patronale e nel 1986 è stata inaugurata come Mostra permanente, ubicata nei locali dell’ex scuola media.

Il 18 marzo 2012 è stato inaugurato il Museo del Tombolo. Vi si trovano esposti pregiati merletti di ogni forma e misura.

Feste e tradizioni

Festa della Madonna

È la festa patronale del paese che da sempre si svolge l’ultima Domenica di Agosto (da qualche anno si svolge la penultima Domenica per facilitare la presenza agli emigrati). La partecipazione popolare è plebiscitaria soprattutto durante la processione che si snoda attraverso le vie del paese. Caratteristiche sono le promesse con i ceri e le catene ai piedi.

Santa Lucia

Oltre alla tradizionale cuccìa, il 12 e 13 dicembre si accende la Vampa (falò) in Piazza Vespri. In tale occasione, ormai da parecchi anni, si svolge la sagra della cuccia.

Altari di San Giuseppe (19 marzo)

Si tratta di un voto che molte persone fanno in onore di S. Giuseppe per grazia ricevuta. Gli altari vengono addobbati nel migliore dei modi e con massima dovizia di cibi. Vi si assidono per il pranzo un uomo, in ragazzo e una ragazza rappresentanti i tre personaggi della Sacra Famiglia.

Viaggio al Calvario

È una processione suggestiva, commovente e partecipata, sia pure alquanto ridimensionata in questi ultimi tempi per la mancanza dei confrati col cappuccio, che si svolge la mattina del Venerdì Santo con una grande croce portata da un devoto. La sera, con partecipazione massiva, si svolge la tradizionale processione del Cristo Morto e dell’Addolorata.

Caratteristici sono i Lamenti in dialetto locale che si cantano il Venerdì Santo durante il percorso delle processioni ed anche il 19 marzo quando si girano gli Altari di S. Giuseppe. Si tratta di canti modulati su cadenze arabesche che ricordano i misteri della Passione e Morte del Signore.

Carnevale

È una ricorrenza annuale che in passato vedeva i giovani divertirsi nei festini in famiglia o in sale pubbliche. Da parecchi anni il carnevale viene organizzato in modo più chiassoso con sfilate di carri allegorici e gruppi mascherati, manifestazione che si conclude con una premiazione e si protrae con balli pubblici sotto il tendone nella piazza principale.

Amministrazione

Di seguito è presentata una tabella relativa alle amministrazioni che si sono succedute in questo comune.

Periodo Primo cittadino Partito Carica Note
29 giugno 1989 16 novembre 1989 Filippo Siciliano Democrazia Cristiana Sindaco [6]
18 novembre 1989 8 agosto 1990 Giuseppe Turino Partito Socialista Italiano Sindaco [6]
24 agosto 1990 20 febbraio 1991 Bruno Tigano Partito Socialista Italiano Sindaco [6]
20 febbraio 1991 11 maggio 1992 Gaetano Muscarello Democrazia Cristiana Sindaco [6]
15 maggio 1992 16 settembre 1992 Salvatore Fiscella Democrazia Cristiana Sindaco [6]
6 dicembre 1993 1º dicembre 1997 Marco Falcone lista civica Sindaco [6]
1º dicembre 1997 28 maggio 2002 Marco Falcone lista civica Sindaco [6]
28 maggio 2002 15 maggio 2007 Giuseppe Turino lista civica Sindaco [6]
15 maggio 2007 8 maggio 2012 Vincenzo Marchingiglio Alleanza Nazionale Sindaco [6]
8 maggio 2012 10 giugno 2017 Vincenzo Marchingiglio centro-destra Sindaco [6]

Società

Evoluzione demografica

Abitanti censiti[7]

fa3f108155fd32c6ffba9992a98e8eea MIRABELLA IMBACCARI (CT)

Lingue e dialetti

20px-Magnifying_glass_icon_mgx2.svg MIRABELLA IMBACCARI (CT)  Dialetti gallo-italici di Sicilia.

Mirabella Imbaccari, linguisticamente, è considerato un centro con tracce galloitaliche, dovute a migrazioni avvenute nella Sicilia orientale di popolazioni Lombarde tra l’XI ed il XIII secolo, come è avvenuto nelle comunità vicine di Caltagirone, Piazza Armerina e San Michele di Ganzaria.

Sport

Calcio

La principale squadra di calcio della città era l’A.S.D. Mirabella che ha militato nel girone G siciliano di 1ª Categoria.

Galleria d’immagini

 

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