CALTAGIRONE LA CITTA’ DEI VASAI

LA STORIA

Molteplici sono le interpetrazioni che gli studiosi hanno dato del toponimo “Caltagirone” , ma, fra le tante che sono state tentate, la più originale è, senz’altro, quella, derivante dall’etimo arabo QAL’AT AL GHARUN, di collina dei vasi.

Caso non raro nella storia della toponomastica, Caltagirone deriverebbe il suo nome dall’attività più significativa e dalla sua gente: la produzione della Ceramica.

Che gli Abitanti della zona fossero vasai,dai tempi più remoti, lo testimonierebbe, tra l’altro, un antica fornace del V o VI secolo A.C. trovata, in seguito ai lavori do sterramento, alcuni decenni fà nella “Selva” del monastero di San Gregorio. Ma la prova più suggestiva della presenza dell’arte vasaia sui colli ove sorge Caltagirone è la scoperta di un cratere Siceliota, conservato nel museo Della Ceramica, raffigurante il vasaio al lavoro, sotto la protezione di Atena.

Se è vero, tra l’altro, che l’arte nasce come una pianta su un terreno e un ambiente propizio, Caltagirone, con le sue possentui marne, il vicino Bosco di Santo Pietro, nonchè il variopinto e pittoresco paesaggio sul quale si staglia, è l’ambiente naturale della scultura plastica e della ceramica.

GLI ARABI

Gli Arabi, quindi, quando nell’esstate dell’828 dopo la caduta di Mineo, per mano di Aadelkum El Kir, espugnarono l’antico Castello Bizantino, costruito in alto, circondato da burroni e valli, a cavaliere tra il versante ionico e quello africano, sotto la cui protezione si era raccolta la laboriosa popolazione indigena che da secoli viveva sparsa in molteplici villaggi, sull’ampio territorio circostante, vi trovarono una singolare attività artigianale. Diedero poi al colle quel nome per cui l’abitato che vi si svilupperà diventerà celebre nel mondo: la Città dei Vasai.

Erano stati i Siculi e i Sicani, anteriormente alla colonizzazione Greca, a produrre vasellame, prima plasmato a mano libera e poi, quando i Cretesi intorno al 1000 A.C. introdussero la ruota da vasaio, foggiato al tornio, ma furono i coloni Greci a dare a quest’arte un grande impulso. Neanche durante il periodo della dominazione Romana l’attività delle fabbriche era venuta meno. Fu sotto i Bizantini, a causa della profonda crisi economica che gravò sull’isola, che si ebbe una qualche riduzione della produzione ceramistica.Gli Arabi, qui arrivati, ridestarono la fiamma alquanto sopita delle fornaci, introducendo tra l’altro, l’invetriatura del vasellame con procedimenti piombiferi e stanniferi che soppiantano le tecniche greche nella produzione ceramistica.

Gli Arabi di Qal’at Al Gharun sposano l’arte già praticata sul posto e, attorno ad una piccola moschea ( diventerà poi Chiesa cristiana dedicata a San Giovanni), ad occidente del Castello, creano il loro quartiere, mentre gli indigeni rimangono arroccati attorno al castello e alla Chiiesa di San Nicola da Mira, Santo bizantino, a quel tempo, patrono del luogo. Però sia nella pratica artigianale che nell’attività agricola le due etnie trovano quel denominatore comune che permetterà loro di convivere pacificamente per secoli.  Anzi in tutto il territorio circostante vi è un pululare di rahal, villaggi ove vengono a trasferirsi numerose famiglie Saracene disposte a sperimentare nuove colture.Si ha cosi una profonda trasformazione da una agricoltura prevalentemente frumentaria, in arborea. Gli Arabi piantano frutteti, oliveti, e nonostante il divieto islamico di bere vino, anche vignreti; Maometto aveva insegnato al suo popolo che chi pianta un albero, sarà premiato come coluiche prega la notte e digiuna il giorno o trascorre tutta la vita in guerra sulle vie del Signore.

I GENOVESI

Dopo l’anno mille un altro elemento, che avrà grande rilevanza nella formazione etnica e civile di Caltagirone, si introduce nel suo territorio. Arrivano i Genovesi. Essi mettono piede nella Colina dei Vasai, durante il tentativo Bizantino di Giorgio Maniace (1038-1042)di riconquistare l’isola, ma vi rimangono creando un loro quartiere ad oriente, ove elevano al cielo una Chiesa-Fortezza che dedicano al protettore di Genova, San Giorgio; impongono quindi il loro potere politico alla locale comunità Arabo-Cristiana, come si evince dal fatto che lo stemma municipale della ccccccccittà diviene la croce rossa, fiancheggiata da due grifoni su campo bianco, che è quello proprio della repubblica ligure.

El’Inizio del loro lungo e ininterrotto esercizio del potere sulla Città che divideranno solo con i Normanni, i nuovi padroni dell’isola, da essi aiutati nella definitiva conquista sia di Caltagirone che del vasto territorio circostante.

I NORMANNI

Furono i Genovesi ad aiutare il Conte Ruggero a snidare dalla Rocca di Judica un manipolo di predoni Saraceni capeggiati da un certo Bayamet. I militi Genovesi se ne tornatrono in Città portando dalla Rocca , come trofeo di vittoria, una campana denominata poi ddddddd’Altavilla, da Ruggero D’Altavilla che in certo senso ne fu il donatore. Essa fu collocata sulla torre campanaria dell’allora Chiesa Madre sul colle principale della Città. Poi, nell’estate del 1090, lo stesso Conte Ruggero, capo dei Normanni, già quasi alla fine della sua impresa di liberare l’Isola dai Saraceni, sempre con l’Aiuto delle >Milizie Genovesi di Caltagirone snidò le numerose bande mussulmane annidate nel Bosco di Santo Pietro nella contrada detta poi Saracena.

OPPIDUM SARACENICUM

In occasione della vittoria ottenuta sui Saraceni il 25 Luglio 1090, giorno sacro a San Giacomo, lo stesso Ruggero di Normandia entrò trionfante nella Città e pose la prima pietra nella Chiesa dedicata All’Apostolo Giacomo che volle fosse costruita sulla parte occidentale della Città, presso il quartiere Arabo.Non è, infatti, perchè il potere Genovese e Normanno si stabilissero nella Città che la comunità Araba ne ebbe dei danni. Caltagirone, anzi, resta sempre Oppidum Saracenicum e in essa vengono a rifugiarsi altri Mussulmani Siciliani i quali, nel clima di tolleranza istaurato nell’Isola dai Normanni, potranno continuare le loro attività agricole e artigianali, in una condizione di benessere politico e materiale.